
lunedì 30 novembre 2009
sabato 28 novembre 2009
La vita è il rumore della pioggia
le sue sorprese colte di rimbalzo
un presente del presente più presente
uno schizzo che ritorna e ti coglie
il rumore della pioggia
Il rumore della pioggia è una scatola
che riecheggia senza copro
senza pareti
è un disturbo delle cose
delle cose più lungo
le supera senz’orlo
trabocca ma non riempie
restando flusso
il rumore della pioggia
compare improvviso
come un attacco in levare di un ensemble
per chiudersi poi improvviso
in un esaurirsi lento di stille
come lucciole in giardino
nel nero fuoco delle notti di giugno
dilagando un silenzio umido
e vergine per le odorose strade
fumanti
il rumore della pioggia
un tessuto denso di trame di vita
ordite di oblio chiacchierato
dal sommario del diluvio
in cui ci capita capitare
aspettando che passi
il circo cosmico sul trabicolo
e il suo libero andare
che è il rumore della pioggia
che ti scricchiola nel cuore
seppure non venga da nessun dove
prima che il dove fosse da qualche parte
si preparava già della pioggia
costruito con presagio di tuoni
dentro gli occhi buoni di Dio
ancora tutto silenzioso e possibile
ma più del piombo
di solenne peso fatto
il rumore della pioggia
segue lo sbigottire del creatore
davanti al suo creare di parola
e silenzioso demolisce le metafore
in verità spicciole, e rigonfia
l'ulteriore promessa di ogni seme
©Gabriele Via
giovedì 26 novembre 2009
La poesia è una cosa troppo grande
perché la sola architettura di un racconto
vi si affacci col pretestuoso progetto
di recingere, contenere, delimitare,
governare con ragione il suo territorio
il suo ambito linguistico… Non si può.
A un certo punto un gallo canterà,
si farà giorno, verranno le ombre della luna;
ancora non avremo chiarito dove
ficcare il primo picchetto,
aprire veramente il cantiere…
…Allora ci guarderemo stupiti
nude le mani e una lenta stilla
cadervi trafitta nel sole di domani
la poesia è una cosa troppo grande
e ricomincia sempre a volare
mercoledì 25 novembre 2009
Vedere non è vedere
Per quanto tempo ancora
andremo avanti con la storia degli occhi
chiamiamo vedere
un qualcosa di così incerto
sottile
indicibile
per quanto tempo ancora…
lo vogliamo capire?!
gli occhi non vedono
oh sì, ci piace guardarli
e parlare del loro vedere
e quando li guardiamo
diciamo cose senza senso
tiriamo in ballo e il mare e il cielo
i boschi, la notte e i ruscelli
fate turchine, pirati
principi d’Arabia e celebri tramonti
ma dove stanno
tutti questi aggeggi polverosi
queste mongolfiere stanche
delle nostre emozioni
gli occhi non vedono
la vista avviene
se attraverso gli occhi piove
come rugiada sullo specchio antico
e vergine del nostro cuore
l’anima del mondo
certo
è facile dire che gli occhi vedono
ma è come dire che i piedi camminano
i piedi, si sa, sopportano
non possono fare altro
siamo noi che camminiamo
incerti nella notte
loro ne farebbero a meno volentieri
è come dire che le orecchie pensano
non si impara alla finestra l’amore
ma ti nasce cieco e potente in petto
e ti scaraventa nel mondo
poveri occhi, lasciamoli in pace
che per ogni cosa che attribuiamo
di sapere per il loro cieco sguardo
dimentichiamo l’intero mondo
di castelli che abbiamo creato
tutti da soli a lume di naso
al loro silenzioso
impotente cospetto
…lo sguardo finale
lo si offre sempre
ad occhi chiusi
vedere non è vedere
ma offrire un lume impossibile
da questo misterioso vivere
alla figurata cecità del mondo
martedì 24 novembre 2009
cerimonioso saluto di un viaggiatore
A Milano, a Dublino
a Dehradhun, a Santiago
a New York, Barcellona e sul monte Pollino
i neonati piangono allo stesso modo
e squarciano il torpore delle gemme
manifestando il sole del mattino
il loro urlo uguale
la querelante voce di ogni altro male
ma
riunito appena nel coacervo
dell’alito linguistico
di consigli, nenie e antiche profezie
ecco che assumerà una impronta
a cui assoggetterà un nome
e imparerà il menadito di una storia
e in un baleno
risbatterà ai quattro angoli del mondo
New York, Santiago
Dehradhun, Dublino
e, in ultimo,
a un certo punto,
con buona pace di tanta poesia
finalmente, anche Milano
Ed io - che a Livorno ci sono stato,
oltre a conoscere un po’ di stazioni -
me ne sono accorto stamane
facendo colazione:
prima per celia,
poi perché il dolore è eterno:
e tra le voci ogni carta scambia…
lunedì 23 novembre 2009
Bastano veramente poche righe
Bastano veramente poche righe
di circostanze imbastite alla meglio
ma meglio ancora se l’abbozzo è crudo
e ci penserà l’architetto del cuore
E come un giardino apparirà
e saremo pronti a far la prova
appena così convinti dal simile
la scarpetta di cristallo è per noi
Cara Fenice ancora è per pochi
allo stato delle cose rinascere
i più sgretolano nell’esistere
confidando all’incirca in un Dio non visto
ché non basta una vita al vero
per ogni palpito ne fosse valsa
la pena così concreto il dolore
e così inesperti a fare uso del cuore
Ed io che ho il solo dono di vederci
e dove più lontana si inarca
la dolce melodia carnosa della viola
fabbrico la metrica degli stupori
e un giorno da questo trampolino
qualcuno: un amante o un solitario
si accorgerà con tremendo stupore
che anche questo ha un senso
che nascere dunque ha un destino
se lo credi disegnato nella luce
e per una tale libertà vale
il cammino che tutto porta e brucia
@Gabriele Via
sabato 21 novembre 2009
venerdì 20 novembre 2009
MI AIUTA UN CANE
Scrivo poesie, perciò non so mai nulla.
Mi aiuta un cane che a memoria
conosce Omero.
E a memoria un giorno io vorrei
che venissi da me a perdere un po’
di quel tempo noto se cercherò di
mostrarti il mio rovo che ha sapore
pur senza avere un solo scopo.
Tutto il mio giardino è di questa fatta
e prima credevo che un altro mondo
vi fosse, veramente (spaesato altrove
immaginato dallo stupore dei bimbi)
col suo faceto corpo di romanzo
di avventura un po’ vigoroso
di severo sergente un po’ luminoso
di quell’azzurro fiore…
Né capivo la curiosa trasferta
di quanti da quel loco il dì di festa
accorrevano a lodare soltanto
non cogliendo un solo fiore
non cercando un frutto di addentare
come se dovessimo la vita
più che a Dio all’istituto dei musei…
Poi, mi resi conto: in un baleno
e lo volle certo solo Dio,
ché non avevo fatto un cammino,
pregato demoni o bevuto un veleno.
Mi si rivelò micidiale, ultimo, il vero.
Oltre questo giardino non c’è niente
e la poesia che in tutto ho coltivato
sola nutre quella ripida fine
che attraversando gli occhi e il cuore
tutte le cose fanno
senz’altro progetto che andarsene
dileguare, inconsapevoli, sparire…
Io sono nell’eterno da un pezzo:
da bambino Dio mi scelse poeta.
giovedì 19 novembre 2009
L’ultima lentezza del corvo
L’ultima lentezza
del volo del corvo che da basso
raggiunta quasi in verticale la posizione
del cielo sopra il ramo alto del cedro
lascia posare il suo corpo
e si assicura con le zampette
ergendosi a sentinella
fermo nel dondolio del ramo.
Ecco, io ora intendo dire
quell’ultima lentezza del mantello
delle ali che silenzioso
si sfoglia finalmente
prima di richiudersi
e fascicolarsi tutto torno al corpo
fermo e affusolato nella veglia
sul ramo, fermo
del cedro
dondolante.
Io,
quando vedo quel gesto silenzioso
che rallenta e si impone
nel quadro del cielo che tutta impegna
la mia finestra ai prossimi stupori
lo so,
lo so così bene che sono nato
per tutto questo e subito, ricordo
immediatamente tutto
perché le idee sono la luce
debole del cosmo e la materia
sottile che nutre, intesse, lega,
partecipa e significa tutto
quel che può darsi
al corpo dell’esistenza.
E ricordando con mite meraviglia
volo io e vedo e più viaggio
così che dal cuore degli angeli
conosco le zuccherine vigne
delle riserve auree del possibile
e pascoli vergini e vergini colli
e mi ricordo ad esempio quasi ebbro
la rivelazione della pioggia a me
il cui mistero si cela
proprio mostrandosi tutto…
Fu prima di mettermi in cammino
tanto lungo sarebbe stato quell’andare
come breve e folgorante il remoto verso
che nel cuore mi piovve in quell’alba di piombo
e prima che il cielo più in quota
squarciasse l’azzurro di oceano
sul fragile respiro dei Pirenei
aprendo ai mondi iberici
di tanta Spagna
dalla Galizia all’Andalusia
e su quell’antico ponte che apre la strada
che fu di Annibale, Orlando e Napoleone
ora, ero io,
e tra me e me mi ricordavo di Dio
e di Adamo…
E quando Dio disse pioggia la pioggia fu
e quando piovve l’uomo solo guardò
a lungo la pioggia e disse: piove.
Quando Dio disse pioggia, piovve
E quando piovve l’uomo disse: piove.
Veramente benedetto è colui
che null’altro sapendo
si basta di mettersi alla ricerca di
tanto Dio
È così evidente che il vincolo
fra Dio e l’umanità è lo stesso vincolo
del genitore e del bambino mediante il mondo.
Basta guardare il mondo
qualsiasi mondo, tutto il mondo,
il mondo che è l’ologramma di Dio
e ricordarsi di essere stati bambini.
Ogni altro sforzo, ogni altra via
è un patto perverso.
Puoi astenerti dal mondo
ma il mondo è dentro di te:
ne sei costituito in fotoni,
elettroni, neutroni, protoni, atomi,
molecole, aminoacidi, cellule, mitocondri
proteine, tessuti, pulsioni, desideri, paure,
idiomi, figure, memorie, ombre, luci,
cause, tempi, spazi, marine, golene,
insenature, vaste foci di acque dolci,
fronde riparie pendule sul delirio
dei fragori di riviera, e animali
fecondi tra arbusti selvaggi
ubertose terre di Lucrezio
screziate notti di Luna urlante
umide conserve d’amore tra le segrete grotte
e interminati spazi di là dal circolo dello sguardo
sulle striate nubi in cui volando strappa nel vento il cielo
e animaletti pennuti che volando vanno come amanti
e molti e numerosi e del numero loro a dirsi più veloci
diversissimi animali e piante e fusti e fiori e foglie
e di tutto e della sua cantata memoria
il remoto e attuale racconto, l’enumerazione essenziale
che Pitagora rammemorò, la catalogazione organica
di Aristotele, e ogni stupito canto
la formula oscura e tonante del profeta
l’esposizione del dramma
il verso succoso del poeta latino
il diario intimo, ed ogni lingua
e allo specchio ogni forma di idioma e di pensiero
e canoni diversi e corone, principi, tiranni
repubbliche e pergamene con sangue versato
e cera lacca, sull’urlo della terra
di tutto questo mondo noto
e di altrettanto quattro volte tanto ignoto
tu sei fatto da sempre e per sempre
figlio, ultimo al nascere
poiché ciascuno nacque come ultimo ospite
in quell’ora della terra
e primo e solo e liberato
al sorgere umido di rugiada di questa compresa
antica eredità dell’anima
per le virtù dell’eterno.
E chi più dal mondo si astiene
più il mondo penetra in realtà,
significa, considera e conosce.
Poiché ogni esistenza è fatta di mondo:
il mondo sei tu.
Ma il mondo è ologramma di Dio
parimenti puoi pertanto abbracciare
il mondo come il fanciullo apre la braccia
camminando incerto verso
le altrettanto aperte braccia del padre,
della madre, degli amici, dei fratelli
e trovare immediatamente
come fa un abbraccio
come fa il tonfo felice della vera emozione
che tocca il cuore dei due o tre che si ritrovano
in nome di amicizia e verità
e nel convivio avvertono profondamente
questo scambio felice di vita
che illuminando i cuori
rinsalda, integra, festeggia,
libera e celebra, la vita
per questo apparsa e nata
venuta al mondo
e anche nell’ultima lentezza del corvo
riconosciuta
ritrovata
e nel tempo di un canto
nuovamente
libera e abbandonata.
Al davanzale
rimasto il cielo
il mio solo languore
uno stupore vero.
E il lettore che fa?
E il lettore che fa?
Gli esegeti del silenzio
se ne stanno là, le pareti
nel perimetro delle cose, sole...
...Aspettando il gesto di falena
che scardini il fuoco dei nomi
offrendo un movimento vitale
un dimenar di cosa
un lampo di gratitudine
un labbro di canto
alla sola luce…
...Fino alla nostalgia
della speranza.
C’era una volta…
…la minestra riscaldata.
La vita (poema, monologo)
La vita
Rallegrarsi per la magia della sfera
rallegrarsi nel suono della voce
dell’acqua, del fuoco, dell’aria, della terra
rallegrarsi per la magia della sfera
per l’elettrica vicinanza delle cose
al loro invisibile corpo d’ombra
giungere a intendere la voce
degli elementi, dentro il cuore
e avvedersi che gli elementi
non sono veramente elementi,
ma altrettanti pianeti, sistemi, galassie
che noi intercettiamo col formidabile
decreto delle parole diverse
come diversa è l’esperienza comune
del calore, della luce, e del cibo buono
rallegrarsi quindi della vita per la vita
rallegrarsi per la magia della sfera
se da bambino mi avessero chiesto
Dio com’è, forse io non avrei guardato
l’Eden come Adamo dicendo è questo
avrei invece pensato e poi risposto
che Dio è una sfera avrei risposto
e poi pensato
e mi sarei così rallegrato,
cercando i sassi più tondi e lisci
per la formidabile magia ideale della sfera
che mi portava nell’armonia
così da sapere intendere finalmente
la voce nutriente del Dio vivente
Uno scontro di anime conflagranti
in un dove prima nullo
ed ora che come avvoltoi
volano in cerchio ripercuotendosi
sulla vita come calamità stagionali
in attesa di calare tra noi
e di noi nutrirsi fino far parte
di questa condizione naturale
miserabile e privilegiata
dove per la poco avvezza dimestichezza
nello scrutare il cielo per il cielo
si continua a profetare tra dispute
e controversie nella noiosa storia
delle continue fonti rinnovabili
dell’eterno verbo. Cosa ha
veramente voluto Dio?
Qual è il suo segno e quale non lo è,
pur sembrandolo…
D’altra parte l’esistenza implica
il concetto di creazione. Non si scappa.
Certo, ma il concetto di esistenza
da dove proviene? Dall’esperienza
sboccia come rosa per gemma.
E allora perché non riuscire
a considerare un dio dell’esperienza?
Perché no? Perché la gente
di questo buio tempo quando
dici dio ha la testa già piena
di tutto, tranne che di esperienza…
-E questo è il vero dolore del mondo
credimi-
Mentre quando parli di natura
ciascuno può rifarsi subito
alla propria sua esperienza.
-Senza che quel dolore tramuti in speranza-
Proprio così. E potremo mai colmare
Questo vuoto orrendo? E chi ha detto
che questo vuoto si deve colmare?
Non è mica detto che dio sia favorevole
al ponte sull’orribile stretto…
certo la storia, la tradizione,
forse anche già le fonti
indicano al lettore attento e capace
come il più alacre pontificatore
sia proprio il povero Lucifero, con
la sua ontologica ingenuità
nel voler peggiorar l’umana schiatta,
col suo teatrale armamentario
di pentolame rotto
e coperchi scompagnati…
Già… Forse come anche la notte
questa mancanza di luce
è necessaria.
Anche in Dio c’è un qualcosa
in cui e il silenzio di cui
non si può violare…
Così come per la questione inevasibile
dell’invisibile, irraggiungibile, indicibile...
Essere posti dalla vita in una data
situazione fatta di relazioni, orizzonti,
limiti, condizioni, E in ciò, col trambusto
di una cucina in cui si stanno sbrigando
molti differenti piatti, vedere avvenire
tanti diversi dialoghi, da cui visioni,
desideri, progetti, speranze, intenzioni,
scoppiettano e zampillano come legna
di castagno in un falò. Per Bacco, dico io.
Permettere che ogni voce prenda la parola
potendo e volendo dire la sua.
Promuovere questa esperienza vergine
dell’esprimersi di giubilo. Fare spazio alla vita.
Anche se la vita sbatte, cade,
salta, sbava, urla, si agita e fracassa,
prima di scoprire la potenza della quiete
e la vastità del mare, da cui,
-se lo è già dimenticata-
lei stessa è nata.
Rallegrarsi allora di questa sciarada
Fin da molto giovane mi accorsi
che uno scrittore, sia esso poeta,
romanziere o addirittura filosofo;
in ogni caso, laddove sia veramente
uno scrittore. Proprio nel momento in cui
meglio si esprime e più felicemente
riesce nel suo trattare con le parole
ecco che invece confida e si affida,
in un puro atto di fede, alla iniziativa,
capacità e buona volontà
di uno sconosciuto, che neanche
sa se c’è o meno, se è ubriaco, se dorme,
se può essere in grado, con le sue sole forze
di affrontare la cosa: il lettore.
A costui lo scrittore porge un’estremità
della cima di salvataggio della situazione.
Il lettore è colui che la deve afferrare.
In tal modo lo scrittore esaurisce, per così dire,
una data e limitata disponibilità
in cui si era trovato ad essere
(la chiamano ora ispirazione)
e per cui egli è uno che scrive,
e tu sei uno che legge. Tale condizione
di “disponibilità” di cui diciamo
è ontologica, è cioè dell’essere
e nell’essere scrittore,
e da quest’essere, anche se
non è d’accordo, ecco che
trascendentalmente lo scrittore
spera, auspica, supplica, pretende,
minaccia, chiede, prega, geme, lamenta,
ricatta, ordina, invoca, urla, canta…
Non guarda in faccia a niente e nessuno…
Affinché quella condizione
dell’essere in cui egli “versa”,
e per cui le sue parole
sono sembrate veramente
esaurirsi contro la vuota scodella
rovesciata del cielo, venga
con tutte le sue parole finite,
a incontrare, anche inciampando,
un buon samaritano,
uno straniero lettore
pronto a diventare subito complice
senza conoscere né il piano
né il mandante
né il prezzo di questo folle ingaggio:
tutto ciò per una storia di salvezza.
In realtà si potrebbe credere
che il lettore sia poi lo stesso scrittore
in incognito. Ma non è proprio così.
Infatti lo scrittore legge –è vero-
e prima di tutti e da solo
annusando con cura ogni centimetro
della sua lunga striscia di muco verbale
ancora calda e piena di umori interni…
Ma a differenza di un vero lettore,
che si incammina fiducioso
per cercare la luce di cui ha diritto
in quanto lettore, regolarmente iscritto,
agognando quel momento fatidico
che ogni poeta crea nel quale tu che leggi
ti accorgi di avere finalmente in mano
una torcia nella notte oscura,
lo scrittore in questione legge invece
ripercorrendo alla cieca
e contando i passi, tutto lo scritto:
allo scopo di uscirne, se possibile
ancora un volta, vivo e
liberato dalla sua stessa scrittura.
Ritrovare la luce, se non del sole
almeno delle stelle. Comunque
una luce vera; non un suo simulacro
non la parola luce.
Nessuno scrittore trova luce
in fondo alle parole che scrive.
Ma scrive per aiutare gli altri,
anche gli altri che sono in lui,
che furono e che saranno,
a fare un salto o un cammino
che porti verso questa luce.
La luce è sempre da un'altra parte
e la vita non sa dove abbiamo messo le cose
Siamo troppo stregati dalla magia della sfera
in viaggio come Colombo andando
si torna ed altro cercando
altro si trova viaggiando
riconoscere la voce dell’acqua,
camminando. Prendere così fiato,
e restituirlo quel fiato: animato
e con le mani rimescolato.
Decumani di amari fantasmi
popolati e viali che affliggono
le loro lunghe braccia
fino a noi dal cielo smisurato amati
desiderati… degli dei rincasati
E la voce dell’acqua
Col suo vento formidabile
in fondo, sulla coda
la voce dell’acqua
con una punta di sale
che sfugge dalle ali degli uccelli
per l’elettrica vicinanza delle cose
al loro invisibile corpo d’ombra
A questa maniera io ho visto la luna
quella che comunemente viene detta
luna piena… Dove piena indica
completa, totale, finita.
Siccome le altre fasi sono dette
frazioni: quarto, metà, tre quarti…
Ed ho capito, come un essere ragionevole,
che quando la luna è piena
è solo la sua metà. C’è l’altra
quella che non vedi. Quella che
da questa terra non potremo mai vedere:
quella realmente invisibile
per l’essere terrestre.
Quella, in superficie e sostanza
è veramente la sua metà…
Ma a noi basta vederne una metà nella luce
e diciamo di vederla tutta, piena.
In realtà, se non la tieni in mano
o non ti muovi come un pianeta,
una sfera la vedrai sempre, solo, per metà.
Il nostro sguardo vedente
sbatte sulla sua faccia
e poi cercando di abbracciarla scivola…
Disegnando un cerchio di lotta
con la luce per cadere infine nel buio
chiamando quel punto inesistente
orizzonte. La sfera, così,
che in quanto tale possiede
connotati di ombra
e di invisibilità
in egual misura di quanto possiede
di visibile, diventa simbolo
di verità.
La sfera di cristallo permette di vedere l’invisibile:
ciò che ancora non è
ciò che più, qui dove le cose sono,
adesso solo non è.
Siamo ancora come l’occhio del primo nato
per la magia della sfera tutto stregato
ora si vive
la luce è sempre da un'altra parte
e la vita non sa dove abbiamo messo le cose
ora scrivendo
ora leggendo
per tutto questo
elementare stupore
da cui possiamo sempre
ricominciare