mercoledì 31 marzo 2010

Santo Stefano a Bologna

pubblico per intero la poesia da cui sono tratte

le sei terzine pubblicate nel volume

LA VOCE DELLA CAMPANA

a cura di NICOLA MUSCHITIELLO e FABIO RAFFAELLI

edito da L'ARTIERE edizionitalia

il libro è in vendita a 15 €

il ricavato verrà devoluto ai restauri

della Basilica di Santo Stefano in Bologna




Fa strano in cielo

il riflesso terrestre

di questo sguardo che cerca la via


e più strano ancora in terra

la feconda luce che viene

dai misteri celesti


fino dentro al cuore


C'è tempo e tempo

anche quando non ci sarà più tempo

-e forse tempo già ora più non ce n'è-

rimarrà ugualmente un po' di tempo


il tempo per scambiare due parole sul tempo

come il boia, che letta la condanna

e disposta l'ultima pena

conversa sulla vita assieme al condannato

mettendo in scena altro tempo ancora

oltre il decreto della fine del tempo

un altro tempo


Perché una soglia

in una casa di mille anni

ne ha duemila già da sola


E se lo vogliamo, girandoci sul fianco

come un pigro risveglio ricacciato

avremo anche il tempo

di vedere le macerie


liberi fino a tanto


Strano destino di intrecci la chiesa

pellegrina di carne sulle pietre

nuda clemente voce che ripiega


promessa di salvezza più estesa

al deciso procedere di spiga

nel cielo che respira e buca


fin qui, a noi riuniti ancora in fuga

da piogge di sogni che non bagnano

tra cerimonie sorde di eventi


ma strano ancor più è dimenticare

e con articoli di miniera poi

rabberciare i disastri coi proclami


stabilire leggi nuove misure

mentre si cacciano nel più profondo

gli argomenti figliati da paure


è così strano dimenticare Dio

la chiesa che salva e che ha salvato

ora chiede una salvezza di architetti


smettere di pregare per i motivi per cui inizi a pregare

e continuare a pregare per pregare

e smettere di pregare per pregare

e pregare per i motivi per cui smetti di pregare

e smettere di pregare per i motivi

per cui smetti di pregare

e pregare ancora per ogni cosa

e smettere di pregare per ogni cosa

per essere liberi di pregare

preghiera essendo nel più intimo del cuore

il nostro primo e vero più autentico motore.


Strano davvero questo ministero

tutto umano che richiede voce

e silenzio rinnovato e pace


ed è così bello far queste cose

nell’antichità di tutte le chiese

ogni preghiera è molto più antica


ed io spero ancora: oh si staccasse

un brandello di travertino per i sordi


e per i ciechi un’icona demolisse

nel cuore di una omelia

e che nessuno si faccia la bua, ma


tanto scotimento percorresse i visi

con gli stessi timori dell’anno mille


Non per i turisti, non per noi

non per Dio né per i concerti

suonati le notti acerbe d'estate

e neppure per l’evangelo

Ma per gli occhi di Adamo ancora non nati

e per gli stupori di cui mai sapremo...


Trampolino di pietra molle

fabbricato di terra cotta

da rimettere in sesto sotto il cielo

su questa piazza che ancora scotta


sull'ideale grande e bislacco delle onde

di una qualche Santa terra da liberare

o crocifiggere di nuovo irresoluto amore


ora basilica di troppo maturi grappoli

a un silenzio speciale sopravvissuti

nella stranezza striata dei tempi

mutanti...

Eppure scricchiola l'ora

del canto di messi lontane

e vanno colti ora e bene rinnovati

gli acini diversi in questa vite straniati


assumeremo ciascuno

la responsabilità cruciale e laboriosa del tempo:

questo vuol dire essere comunità.


Promettere al futuro dei giorni che verranno

questo nostro degno rispondere

che comprende i denti del bruco,

la coltre buia della crisalide

e il volo d'arcobaleno

della momentanea farfalla...

Tutte insieme le creature

in questa luce uguale di sepolcro

e battistero dove la vita nostra

ribalta e si traballa.


Ed anche che il poeta si mettesse

giorno e notte a scrivere odi, elegie

burlette o sonetti... Questa è l'ora

del richiamo che squilla! Bisogna alzarsi

e prestare cura... Anzi donarla,

offrirla, staccarla da sé per questo

avvicinare il labbro del nostro bacio

farne respiro di una voce

darsi con amore d’anima

al corpo del genius loci... Da salvare!


Anche Dio questo lo sa apprezzare

resuscitando in noi la vera passione


Per ogni porta una croce

ogni croce una porta

ma ora di legno sono le porte

e di pietra le più antiche croci


Eppure tutta la novella della novella

vedeva una croce di legno spoglia

e una porta di pietra sconnessa

e un lenzuolo con cura di donna ripiegato

e con voce di tuono per tutti

la rinnovata promessa di vita

che sulle bocche meravigliate corre

e dalle operose mani sfugge

e per pani che spezzati moltiplica

la sua potenza che oggi libera

e ci traghetta


al Vangelo non serve nessuna casa di pietra

meglio saperlo per conoscere la nostra libertà


Il tempio non c'è più: ora c'è la casa.

la casa siamo noi…


ma quest'opera del nostro cammino Europeo

serve a noi, oggi più che mai

alla nostra memoria

al nostro domani...


la nostra grandezza è la nostra piccolezza


Il mare non ha bisogno di nuove barche

ma noi siamo costruttori di porti

abbiamo inventato la navigazione

perché dobbiamo toccare il punto

dove il cielo tocca il mare


ed è così bello far queste cose

nell’antichità di tutte le chiese

ogni preghiera è molto più antica


ché ogni pena qui riposa

la sua più autentica fatica


©Gabriele Via Bologna 27 gennaio 2010

lunedì 29 marzo 2010

N. e A.

L’occhio amico si posa

sul tuo vero volto

anche se non lo sa


e non importa che sia un giorno

un mese di prove e misure

o il rotocalco stanco di una intera vita


ma come il cardello che arriva

coi suoi colori brevi e intensi

ti becca all’improvviso il cuore

per un seme spicciolo

di cardo vivo


e diventa suo per un istante

il tuo segreto nome

la tua notte tiepida


una melagrana aperta

uno strappo un crepito

un debito in dono

e per dono


sul violino muto del respiro

che trasale

e si innamora

chissà come ancora

di una immacolata concretezza

ma con la sete di un verbo

dal vento scostato

che un altro giorno porta

un altro mondo volge

nell’atmosfera e tra le tende


a cui già ho prestato il nome

arruffato della mia vita intera


©Gabriele Via

venerdì 26 marzo 2010

Vedo la fatica

Vedo la fatica di chi edifica

e non mi è estranea neppure

nei tangibili ricordi delle mie ossa.

Eppure, e più spesso io, ancora

come un innamorato ottuso

mi accorgo che

come vedo sorgere il lume del giorno

davanti ai miei occhi aperti e seduti

sul bordo della vita viva che pulsa

nella meditazione dell’alba

mi aspetto che anche

la formazione luminosa delle parole

a quella maniera mi raggiunga

senza che debba fare nulla

come l’amante raggiunge l’amata

come il profumo del giacinto

entra nelle stanze della casa…

Lo so benissimo

-guarda le mie mani, i miei piedi

i segni che porto nel lume del volto-

lo so benissimo

che se scavo e buco la montagna

scovo il segreto nido del diamante

o che se giungo sulla vetta

incontro l’azzurro fiore di genziana

e che se coltivo la nuda terra

arriveranno i frutti con le piogge…

Ma come ve lo devo dire

che il frutto sono io

e che mi basta

lasciarmi piovere in faccia

l’intera dolcezza

del dramma della vita

che a me viene,

-di più- che mi cerca

sempre

io non scrivo un bel niente

sono quel doganiere

amico dei furfanti

che lascia passare


©Gabriele Via

lunedì 22 marzo 2010

la pace col tempo

Piove, c'è già tutto
e io cosa devo fare?

bisogna allora che metta gli occhi
nel cielo

Così ricordo i miei ricordi
siccome piovere fa la pace col tempo
in un senso e nell'altro
del capire e del cadere

C'era per primo un ciuffo di rami
arbusto colore di legno lucido
e bagnato, che metteva
(prima ancora che marzo facesse
parlare di sé) chiazze unite
di fiori gialli

Come son gialle la ginestre
ma dove per temperatura
non azzarderebbero un passo...

E nel fradicio verde del mattino
la loro fiducia cieca nel sole
che sarebbe poi venuto
di certo
trovandoli spalancati, teneri
della bellezza esaltante e schiva
che hanno le cose prime

Mia madre scostando la tenda
alla finestra sapeva dire
cose meravigliose
solo scorgendo quei gialli umidi
in vestaglia e con un entusiasmo
non illuso. Metteva mano al nuovo
fuoco del giorno... Preparando il
caldo punto di raccolta
per quel drappello sgangherato di mondo
che era la sua famiglia.

Per un po' la sua e la mia
come sempre avviene e si decide
coincisero... Finché volle la vita

Così sono diventato quel che sono
guardando fuori, da me
e guardando mia madre guardare

di mio padre conservo la voce
il dito che batte sul tavolo piano
tutti i libri fino alla rabbia

il non arreso sgomento della ragione
prigioniera di un tempo matto

e il silenzio dolce
che non basta a coprire il mare
a prestito preso dalla natura
il silenzio umano
del tempo del perdono
che vede dove andare.

Mi giro e mia figlia
tra le nere chiome
lo stesso giallo
mi chiede di ammirare…

E io, cosa devo fare?






Gabriele Via

martedì 16 marzo 2010

civiltà e poesia oggi (un titolo provvisorio)

Sembra a momenti che la voce si organizzi attorno alla faccia, come se la voce volesse uscire di casa assieme a quella faccia. Un cane da portare a fare i bisogni e ricondurre alla sua ciotola, la cuccia, l’osso di fibre varie, e il nome con cui scodinzola meglio che con altri. Sembra che non si arrivi mai alla fine. Delle volte ne ho di troppo per giunta della mia di faccia. Non dico più nemmeno la faccia degli altri. La mia. L’unica che non conosco, e porto sempre in giro, e chissà quante volte l’avrà fatta sulle gomme delle auto di altri, forse per giunta sulle gambe, sul polpaccio in particolar modo. O per l’entusiasmo o per paura non abbia abbassato il culo e se la sia fatta lì per lì…

Per molto tempo voce e faccia hanno condiviso un pensiero. Penso la voce e penso la faccia in questo dato modo. Ma nessuno è andato mai a sindacare in quel modo lì. Perché è così e non cosà? Per la questione della voce e della faccia vige il principio dell’ormai che c’è. Basta che ci si abitui e puoi mandare in giro qualsiasi voce abbinata a qualsiasi faccia. Facciano come vogliono, si inventino pure quanto in natura mai sarebbe stato accozzato, nemmeno dagli urti tettonici, e a un certo punto, quando qualcuno anche solo penserà “ormai che c’è…”

Forse questo è il nostro dramma. Silenziosamente, giorno per giorno in questi ultimi decenni come una goccia che scava nella coscienza, l’unico punto fermo di tutto è stato introdurre nell’aria questo “ormai che c’è”

Pensavo ieri alla monarchia. Sono sempre stato un monarchico, come ogni repubblicano che si rispetti. E mentre mi davo daffare ad essere intelligente a tutti gli effetti, ecco che mi sono accorto di pensare: la monarchia se la sono tenuta i popoli, mica se la sono fatta. Mai visto un popolo che scende in guerra per la sua corona! Sì questo lo scrive Shakespeare, e bene, ma un popolo si muove solo per fame e disperazione, se no dorme, beve, rutta, è popolo: gli dai una piazzetta con un prete compiacente, una fisarmonica e due maiali da macello e quelli fan baldoria: è popolo. Dagli le storielle che si vuol sentir cantare e canterà. Anche il popolo che scende in piazza con un pacchetto di ideali, è popolo: urlando pace può schiacciare fanciulli croccanti senza neppure accorgersene. Da quando poi ci sono grandi impianti di amplificazione il popolo conosce meglio se stesso in quanto onda. Dagli impianti si fanno uscire suoni voci e canzonette e sugli schermi si proiettano immagini e luci… E il popolo reagisce: fa il verso, si muove, saltella, urla… va in delirio. E qui raggiunge quel che neanche le bestie riescono ad eseguire. Non si è mai visto al circo il famoso domatore di diecimila elefanti, venti milioni di tartarughe, dodici libellule e centocinquanta scimmie. Al massimo un domatore tiene insieme alcune tigri: quella più anziana e remissiva e la giovane esuberante… Al più due specie dopo anni di consolidata disciplina e prove e prove e cure, cure…

Invece coi popoli puoi fare cose mai viste… però ancora che un popolo si sia dato un Re non l’ho visto: da qualche parte c’è sempre stato l’oracolo, la profezia, il sortilegio o alla peggio la cruda forza degli eserciti. Noi siamo quelli della peggio vestita di aure oracolari. Ma è solo con la forza che quelle che chiamiamo Corone d’Europa sono arrivate ad esser dove sono e poi sono continuate a rimanere.

Ci sono è vero vari aspetti della forza. C’è la forza militare, mica vorremmo prenderci in giro, ma c’è anche la forza della ragione. Martin Lutero fu il primo a scuotere un intero continente, alle radici della sua fede comune, con la forza della ragione. Chissà perché ai nostri figli si fanno leggere manuali di storia in cui si dice che a un certo punto in Francia nasce l’illuminismo (a me la storia per gruppi famiglia mi ha sempre irritato il cervello e fatto male alla pancia). Posto che l’illuminismo non è mai esistito, posto che la storia non è mai esistita, così popolata di personaggi storici così come siamo stati abituati a pensarli, dicendo pomposamente che c’è una bella differenza fra le fiabe, i miti, le leggende e la storia! Che ridicoli! Proprio è vero che non sappiamo quello che diciamo! Posto allora tutto questo imponibile, entrando anch’io nel malaffare delle parti (bluffando senza far finta di non bluffare che non so come si dica: se vivere o recitare!) ecco che sostengo che l’illuminismo che non è mai esistito è però nato in Germania. Vabbè ma chi se ne frega, quel che volevo dire è che esiste la forza della ragione. E come se esiste. Esiste in maniera considerevole. Ma esiste anche la forza della persuasione, che non è propriamente la ragione. Per fare un esempio un popolo deve essere persuaso per professare una propria fede in un sistema di valori che pone le sue ragioni qui in terra. E per persuadere un intero popolo occorre un domatore di popolo, del buon mangime, e una se pur minima programmazione generale degli eventi: un calendario e un’agenda. Il problema della prospettiva per un popolo come si deve è fondamentale. Il popolo ai suoi bordi non ci vede pressoché nulla ed ha sempre paura di cadere fuori dal baricentro popolare. Ma da dentro ci sono forze che spingono affinché tutto il popolo si lanci alla conquista di nuovi orizzonti. Anche per gli orizzonti la cosa è delicata. Mi perdonerete la semplificazione circa le prospettive, ma ormai che ci sono… come si dice… È noto che la semplificazione è l’unica maniera di comunicare col popolo. I binomi in genere sono gli utensili migliori. Ci sono molti tipi di binomi. I binomi di opposizione sono i più noti, ma non i più frequenti. Buono e cattivo è un tipico binomio di opposizione. I popoli vanno ghiotti per i binomi di opposizione. Ma ci sono anche i binomi “di infinita potenza aggiuntiva universale” se io alla fine di un giudizio gli appioppo un “bello e buono” ecco che quel giudizio esplode in una infinita potenza aggiuntiva, come fosse un turbo per le automobili. Non mi dilungo in special modo sui binomi: non basterebbe lo spazio tra cielo e terra per trattare solo dei binomi che ci capitano tra capo e collo…

Due binomi al posto giusto muovono un popolo. Pane e lavoro! Giustizia e Libertà… Felici e contenti. Pace e bene. Ora et labora. Ma ci sono anche in quest’ordine i trinomi: Il Re, san Giorgio e l’Inghilterra. Oppure Liberté, Egalité, Fraternité.  

Così ci sono le spinte dal di dentro verso il di fuori. Dentro si dice ad esempio che esiste un orizzonte da conquistare. Me dentro non si vede un accidente di niente, c’è popolo che vede altro popolo e basta. E questo popolo scambia una serie di binomi con altre parti di questo stesso popolo. È qui che gli ISMI prendono la loro maggior forza cieca. La forza cieca di un popolo che maneggia binomi è micidiale e terribile. Forse il giorno che si vorrà storicizzare un po’ il novecento ce ne potremmo rendere conto. La prima metà del novecento occidentale si è chiusa con la Seconda Guerra Mondiale. Se ne uscì con un binomio anche in quel caso: MAI PIU’.

Ma dal giorno dopo ci si è accorti che bastava accendere un televisore in salotto e si sarebbe potuto fare il doppio di genocidio, stupro, bombardamento, massacro, deliberata violenza… A un certo punto si capì che era questione di canali, bisognava diversificare, lavorare su più canali: intrattenere, informare, giocherellare, urlare, godere… un po’ di tutto, con buona misura… Il secolo breve stiamo per consegnarlo alla storia, con oltre dieci anni di terzo millennio già consolidati, come un secolo di violenze assieme a grandi speranza di cittadinanza mondiale. Ma quel che dovremo ancora accettare è che le peggiori nefandezze non cadono sulla testa di due entusiasti dilettanti come Hitler e Stalin… Ci piacerebbe. E come ci piacerebbe. Dovremo considerare che il peggio che ci viene dal novecento ancora non è stato computato: e non ne hanno responsabilità quei due lì. Il peggio è tutto dopoguerra, sacco del nord sul sud, propaganda, è tutta democrazia, è tutto progresso, è tutta tecnologia… sulla pelle di tre, quattro, cinque miliardi di poveretti… dei quali molti non hanno neppure un nome… E che ciò sia avvenuto e avvenga ancora, dopo Gulag, Auschwitz e Hiroshima…

 

Ero alla triennale di Milano con un amico. A un certo punto ci chiediamo dove sia un dato posto. Col mio telefonino apro una mappa che mi da’ una visione di una faccia del pianeta terra, bella tonda nel cielo nero che dopo i film di fantascienza chiamiamo spazio, nella quale faccia spicca l’Africa e l’Europa e un relativo circondario di azzurro mare col codazzo asiatico a sfumare verso destra. L’immagine è nitidissima. Lo schermo ad alcune decine di milioni di colori. Una definizione impressionante. E in pochi gesti ecco che ingrandendo l’immagine di approfondisce sull’Italia, poi sulla pianura padana, Milano… Parco Sempione… fino (a questo punto solo per capriccio) a voler vedere il civico che ne so della via quella lì… Ed ecco la foto presa un giorno di primavera del civico quello lì: il campanello a destra del portone, la bicicletta posata e legata, un manifesto di un concerto, l’orologiaio e la finestra dell’ammezzato con la tapparella storta e il vaso…

No, non fu solo lo stupore, fu qualcosa di ulteriore. Il silenzio che venne dopo e ci prese (per me fu la gioia di vedere “ci sei arrivato anche tu”) aveva dentro qualcosa di paralizzante e quieto come la disperazione, come diceva Emily Dickinson in qualche sua poesia.

Certo la stupore per la cosa, s vista per la prima volta è notevole, ma quel silenzio venne da una comune considerazione: lui la faceva per la prima volta ed io con gioia la ricalcavo felice che ci fosse arrivato. “Ma… Allora, se un qualunque signor Rossi può avere a Milano questo strumento… Come fanno a non trovare Ben Laden?!” Quanti villaggi massacrati, quanti ragazzi di sedici anni esplosi nella notte, quante donne incinte schiacciate sotto macerie, quanti anziani morti di stenti, quanti uomini, donne, bambini e bambine, abili e disabili, antipatici ma anche simpatici, quanti stronzi, ma anche quanti giusti, quanti e quanti senza preavviso, senza neppur sapere da chi per cose come. Due che stavano facendo l’amore, uno che cagava, alcune persone attorno alla luce di un tavolo col cibo, altri colti in preghiera, un uomo e una donna stavano discutendo animatamente sulle scelte di lavoro che avrebbero cambiato la loro vita e lei non era d’accordo con lui, bisognava stare… diceva. Altrove una ragazzina di tredici anni stava per scendere dal letto felice del suo compleanno. Un giovane ragazzo stava guarendo. Uno si chiamava Pal, uno Giuseppe, uno Shamir, una amava Alì ed ora si era appena decisa che glielo avrebbe detto. Il venditore di granaglie aveva appena scoperto che qualcuno gli fregava dalla contabilità… e ancora tanto, tanta vita, speranza, desiderio, attesa, lavoro, e animali e piante e strade e case e memoria e un po’ in ogni angolo un possibile domani… Tutto spezzato in pochi istanti e dopo la distruzione il veleno.

Per punire persone cattive e scovare il capo dei malvagi (storia a fumetti che manda in fumo la vita)… mentre io dal balcone della triennale gioco con un satellite… Che Dio abbia pietà di noi.

 

Ciò che sei sei

non un po' di quanto sei

né più né meno sei

 

il cane è cane

non è cane solo un po'

ma come cane è cane: tutto cane

 

Ma tu,

uomo donna maschera

del mio tempo corrotto,

che tutto questo sangue

vedi ogni giorno alla televisione

e ti dai anche delle spiegazioni

chi sei? Vergogna della natura!

Proprio qui e ora

in quest'essere che tutto sei:

Chi caspita sei tu?

Chi sono io?

 

A quest'ora del mattino

ancor stupito dal sogno

toccato però dalla luce

e subito catapultato

nell’incubo del progresso

come un ossesso!

 

Una nuova religione

si è formulata davanti ai nostri occhi

e non ce ne siamo accorti

 

Le sue apparecchiature

sono entrate nei nostri usi

comodamente

 

e i suoi sacerdoti

hanno celebrato i loro riti

noi abbiamo applaudito.

 

La tecnologia non è generosa

meglio non è riconoscente

 

il mondo della luce elettrica

non ne vuol sapere della notte

del giorno prima

 

ha in odio il c'era una volta

 

ha in odio le candele

l'olio, il moggio e lo stoppino

 

chi rotola urlando sulle ruote

neppure più sospetta quanto e come

il prima poté diversamente rotolare

fino al ruvido lì che ora sembra

-chissà come- liscio come l'olio

da e per l'eternità

 

la tecnologia ha paura della storia

del suo ruvido panno

disconosce la sua origine

ha vergogna e paura

di dover comprovare tecnologicamente

di provenire dal fango

come tensione al cielo

 

odia il c'era una volta

ma trama continue speranze

di vaghi "vissero felici e contenti":

neanche fosse una persona

 

quando poi capì (l'unico suo remoto)

che la via della trasmutazione

sarebbe rimasta segreta, lenta e iniziatica;

nonostante fuoco, ruota, scrittura,

cinema, televisione e le figurine dei calciatori…

 

Eccola inventarsi un cielo

di carta pesta

una finta realtà

un finto immaginario

un finto desiderio

finti bisogni

e finti clamori

finti entusiasmi

finte notizie

per giunta finte ballerine

finti nani

fino al colmo di

finti idoli

 

Finti cazzi e finti culi

 

Finte finzioni

 

Finti seni

Finti cibi

Finte labbra

Finte parole

Finte leggi

Finti malanni

Finte guarigioni

Finte elezioni

Finti attentati

Finte glorie

finti amici

e finti nemici

finte gioie

 

e, peggio, finti dolori

 

La tecnologia ha schiacciato

la ragione, perché non tollera

l'errore. Lo cancella col bianchetto

non lo ricorda, lo rimuove...

 

La tecnologia non ne vuol sapere di altro

 

La tecnologia non crede

non progetta

non vede

non sente

non respira

 

È anestetica

 

L'antidoto al suo cuore di ferro ossidato

è nella generazione e rigenerazione

di chi la cura, di chi la usa

 

L'antidoto, come sempre, è nell'acqua

e nei cloroplasti

 

In un modo o nell'altro

-Omero non avrebbe dovuto

insegnarlo solo a Odisseo-

l'acqua rimedia tutte le cose

 

In maniera molto empirica

potremmo dire che il potere dinamico

della tecnologia diventa pericoloso

quando separa ed esclude

il tempo e lo spazio

confondendo le cause e gli effetti...

 

Distruggendo la naturale vocazione

dell'intelletto

 

Per usare la tecnologia bisogna essere

pienamente umani

altrimenti ci si disumanizza

fino a diventare

integralmente finti

 

Per essere pienamente umani

bisogna uscire dal villaggio

vivere per tre notti nella nuda natura

 

Per essere pienamente umani

si deve essere scelto di servire la vita

 

Ma si può anche essere integralmente finti

per scelta

come i semi geneticamente modificati

che non sono semi

perché non hanno vita dentro

ma morte a orologeria

 

Pronti, affinché la cieca barbarie

nuovamente trionfi

al grido numerico

di nuove necessità

 

A un certo punto invece

 

arriverà un giorno in silenzio

con solenne indifferenza

 

ti sentirai allora mietuto in cuore

il tuo nome non promesso al futuro

della catena miope dei giorni

ma alla consumazione lucida

dell'altra mela

Avrai desiderio di far tutto e solo

col tuo corpo nudo nato

come gli uccelli nel cielo

 

Capirai allora che non bastano i brodini

o gli idiomi dei clan

che il sangue cola sangue urlando

e le alleanze neppure di orizzonti

quando il divenire collassa nella verità

 

si farà spazio di sua propria iniziativa

la luce nuova antichissima

della trasmutazione

 

Capirai con ovvietà di ciclamino

le cose più oscure e misteriose

improvvisamente illuminate

da una luce interiore

 

La luce del silenzio

non la imbrigli in nessuna parola

immagina, crea, sostanzia e scuote

 

È dove il cuore pulsa

grave e sereno

che

s'apre un nuovo orto

e il fiume della vita

come un amore nato

osa prendere un nuovo corso

 

È un paradosso:

prima la tecnologia nasceva per potere

oggi ti dice: non occorre che tu sappia far nulla

con le tue mani da australopiteco

non occorre che tu sappia pensare nulla

con la tua neocorteccia babilonese

io ti farò godere del tuo non potere

il tuo non potere è infinito

nasce all'estremità del tuo indice

dove finisce la vita

e inizia un ennesimo clic…

 

Dobbiamo invece ricordare

oggi più che mai

che il cuore un giorno

ci ha sorpresi ridere

nel calco della vita

senza voler sfuggire

neanche per un istante

ai prigioni madornali dei giorni

 

Eravamo noi

ed eravamo lieti

sull'orlo di quelle antiche fotografie

con tracce di zolfo e di argento

e nel cuore di quei versi

 

Attraversammo ancora

molte altre notti

dalla poesia sorretti

prima che da ogni altra cultura

 

Anche la luna conosce

I suoi entusiasmi

 

Nella terra un odore di mare

che non distingui

e i tuoi occhi

sono lo scalpo umido del mattino

 

 

 

 

©Gabriele Via