Sembra a momenti che la voce si organizzi attorno alla faccia, come se la voce volesse uscire di casa assieme a quella faccia. Un cane da portare a fare i bisogni e ricondurre alla sua ciotola, la cuccia, l’osso di fibre varie, e il nome con cui scodinzola meglio che con altri. Sembra che non si arrivi mai alla fine. Delle volte ne ho di troppo per giunta della mia di faccia. Non dico più nemmeno la faccia degli altri. La mia. L’unica che non conosco, e porto sempre in giro, e chissà quante volte l’avrà fatta sulle gomme delle auto di altri, forse per giunta sulle gambe, sul polpaccio in particolar modo. O per l’entusiasmo o per paura non abbia abbassato il culo e se la sia fatta lì per lì…
Per molto tempo voce e faccia hanno condiviso un pensiero. Penso la voce e penso la faccia in questo dato modo. Ma nessuno è andato mai a sindacare in quel modo lì. Perché è così e non cosà? Per la questione della voce e della faccia vige il principio dell’ormai che c’è. Basta che ci si abitui e puoi mandare in giro qualsiasi voce abbinata a qualsiasi faccia. Facciano come vogliono, si inventino pure quanto in natura mai sarebbe stato accozzato, nemmeno dagli urti tettonici, e a un certo punto, quando qualcuno anche solo penserà “ormai che c’è…”
Forse questo è il nostro dramma. Silenziosamente, giorno per giorno in questi ultimi decenni come una goccia che scava nella coscienza, l’unico punto fermo di tutto è stato introdurre nell’aria questo “ormai che c’è”
Pensavo ieri alla monarchia. Sono sempre stato un monarchico, come ogni repubblicano che si rispetti. E mentre mi davo daffare ad essere intelligente a tutti gli effetti, ecco che mi sono accorto di pensare: la monarchia se la sono tenuta i popoli, mica se la sono fatta. Mai visto un popolo che scende in guerra per la sua corona! Sì questo lo scrive Shakespeare, e bene, ma un popolo si muove solo per fame e disperazione, se no dorme, beve, rutta, è popolo: gli dai una piazzetta con un prete compiacente, una fisarmonica e due maiali da macello e quelli fan baldoria: è popolo. Dagli le storielle che si vuol sentir cantare e canterà. Anche il popolo che scende in piazza con un pacchetto di ideali, è popolo: urlando pace può schiacciare fanciulli croccanti senza neppure accorgersene. Da quando poi ci sono grandi impianti di amplificazione il popolo conosce meglio se stesso in quanto onda. Dagli impianti si fanno uscire suoni voci e canzonette e sugli schermi si proiettano immagini e luci… E il popolo reagisce: fa il verso, si muove, saltella, urla… va in delirio. E qui raggiunge quel che neanche le bestie riescono ad eseguire. Non si è mai visto al circo il famoso domatore di diecimila elefanti, venti milioni di tartarughe, dodici libellule e centocinquanta scimmie. Al massimo un domatore tiene insieme alcune tigri: quella più anziana e remissiva e la giovane esuberante… Al più due specie dopo anni di consolidata disciplina e prove e prove e cure, cure…
Invece coi popoli puoi fare cose mai viste… però ancora che un popolo si sia dato un Re non l’ho visto: da qualche parte c’è sempre stato l’oracolo, la profezia, il sortilegio o alla peggio la cruda forza degli eserciti. Noi siamo quelli della peggio vestita di aure oracolari. Ma è solo con la forza che quelle che chiamiamo Corone d’Europa sono arrivate ad esser dove sono e poi sono continuate a rimanere.
Ci sono è vero vari aspetti della forza. C’è la forza militare, mica vorremmo prenderci in giro, ma c’è anche la forza della ragione. Martin Lutero fu il primo a scuotere un intero continente, alle radici della sua fede comune, con la forza della ragione. Chissà perché ai nostri figli si fanno leggere manuali di storia in cui si dice che a un certo punto in Francia nasce l’illuminismo (a me la storia per gruppi famiglia mi ha sempre irritato il cervello e fatto male alla pancia). Posto che l’illuminismo non è mai esistito, posto che la storia non è mai esistita, così popolata di personaggi storici così come siamo stati abituati a pensarli, dicendo pomposamente che c’è una bella differenza fra le fiabe, i miti, le leggende e la storia! Che ridicoli! Proprio è vero che non sappiamo quello che diciamo! Posto allora tutto questo imponibile, entrando anch’io nel malaffare delle parti (bluffando senza far finta di non bluffare che non so come si dica: se vivere o recitare!) ecco che sostengo che l’illuminismo che non è mai esistito è però nato in Germania. Vabbè ma chi se ne frega, quel che volevo dire è che esiste la forza della ragione. E come se esiste. Esiste in maniera considerevole. Ma esiste anche la forza della persuasione, che non è propriamente la ragione. Per fare un esempio un popolo deve essere persuaso per professare una propria fede in un sistema di valori che pone le sue ragioni qui in terra. E per persuadere un intero popolo occorre un domatore di popolo, del buon mangime, e una se pur minima programmazione generale degli eventi: un calendario e un’agenda. Il problema della prospettiva per un popolo come si deve è fondamentale. Il popolo ai suoi bordi non ci vede pressoché nulla ed ha sempre paura di cadere fuori dal baricentro popolare. Ma da dentro ci sono forze che spingono affinché tutto il popolo si lanci alla conquista di nuovi orizzonti. Anche per gli orizzonti la cosa è delicata. Mi perdonerete la semplificazione circa le prospettive, ma ormai che ci sono… come si dice… È noto che la semplificazione è l’unica maniera di comunicare col popolo. I binomi in genere sono gli utensili migliori. Ci sono molti tipi di binomi. I binomi di opposizione sono i più noti, ma non i più frequenti. Buono e cattivo è un tipico binomio di opposizione. I popoli vanno ghiotti per i binomi di opposizione. Ma ci sono anche i binomi “di infinita potenza aggiuntiva universale” se io alla fine di un giudizio gli appioppo un “bello e buono” ecco che quel giudizio esplode in una infinita potenza aggiuntiva, come fosse un turbo per le automobili. Non mi dilungo in special modo sui binomi: non basterebbe lo spazio tra cielo e terra per trattare solo dei binomi che ci capitano tra capo e collo…
Due binomi al posto giusto muovono un popolo. Pane e lavoro! Giustizia e Libertà… Felici e contenti. Pace e bene. Ora et labora. Ma ci sono anche in quest’ordine i trinomi: Il Re, san Giorgio e l’Inghilterra. Oppure Liberté, Egalité, Fraternité.
Così ci sono le spinte dal di dentro verso il di fuori. Dentro si dice ad esempio che esiste un orizzonte da conquistare. Me dentro non si vede un accidente di niente, c’è popolo che vede altro popolo e basta. E questo popolo scambia una serie di binomi con altre parti di questo stesso popolo. È qui che gli ISMI prendono la loro maggior forza cieca. La forza cieca di un popolo che maneggia binomi è micidiale e terribile. Forse il giorno che si vorrà storicizzare un po’ il novecento ce ne potremmo rendere conto. La prima metà del novecento occidentale si è chiusa con la Seconda Guerra Mondiale. Se ne uscì con un binomio anche in quel caso: MAI PIU’.
Ma dal giorno dopo ci si è accorti che bastava accendere un televisore in salotto e si sarebbe potuto fare il doppio di genocidio, stupro, bombardamento, massacro, deliberata violenza… A un certo punto si capì che era questione di canali, bisognava diversificare, lavorare su più canali: intrattenere, informare, giocherellare, urlare, godere… un po’ di tutto, con buona misura… Il secolo breve stiamo per consegnarlo alla storia, con oltre dieci anni di terzo millennio già consolidati, come un secolo di violenze assieme a grandi speranza di cittadinanza mondiale. Ma quel che dovremo ancora accettare è che le peggiori nefandezze non cadono sulla testa di due entusiasti dilettanti come Hitler e Stalin… Ci piacerebbe. E come ci piacerebbe. Dovremo considerare che il peggio che ci viene dal novecento ancora non è stato computato: e non ne hanno responsabilità quei due lì. Il peggio è tutto dopoguerra, sacco del nord sul sud, propaganda, è tutta democrazia, è tutto progresso, è tutta tecnologia… sulla pelle di tre, quattro, cinque miliardi di poveretti… dei quali molti non hanno neppure un nome… E che ciò sia avvenuto e avvenga ancora, dopo Gulag, Auschwitz e Hiroshima…
Ero alla triennale di Milano con un amico. A un certo punto ci chiediamo dove sia un dato posto. Col mio telefonino apro una mappa che mi da’ una visione di una faccia del pianeta terra, bella tonda nel cielo nero che dopo i film di fantascienza chiamiamo spazio, nella quale faccia spicca l’Africa e l’Europa e un relativo circondario di azzurro mare col codazzo asiatico a sfumare verso destra. L’immagine è nitidissima. Lo schermo ad alcune decine di milioni di colori. Una definizione impressionante. E in pochi gesti ecco che ingrandendo l’immagine di approfondisce sull’Italia, poi sulla pianura padana, Milano… Parco Sempione… fino (a questo punto solo per capriccio) a voler vedere il civico che ne so della via quella lì… Ed ecco la foto presa un giorno di primavera del civico quello lì: il campanello a destra del portone, la bicicletta posata e legata, un manifesto di un concerto, l’orologiaio e la finestra dell’ammezzato con la tapparella storta e il vaso…
No, non fu solo lo stupore, fu qualcosa di ulteriore. Il silenzio che venne dopo e ci prese (per me fu la gioia di vedere “ci sei arrivato anche tu”) aveva dentro qualcosa di paralizzante e quieto come la disperazione, come diceva Emily Dickinson in qualche sua poesia.
Certo la stupore per la cosa, s vista per la prima volta è notevole, ma quel silenzio venne da una comune considerazione: lui la faceva per la prima volta ed io con gioia la ricalcavo felice che ci fosse arrivato. “Ma… Allora, se un qualunque signor Rossi può avere a Milano questo strumento… Come fanno a non trovare Ben Laden?!” Quanti villaggi massacrati, quanti ragazzi di sedici anni esplosi nella notte, quante donne incinte schiacciate sotto macerie, quanti anziani morti di stenti, quanti uomini, donne, bambini e bambine, abili e disabili, antipatici ma anche simpatici, quanti stronzi, ma anche quanti giusti, quanti e quanti senza preavviso, senza neppur sapere da chi per cose come. Due che stavano facendo l’amore, uno che cagava, alcune persone attorno alla luce di un tavolo col cibo, altri colti in preghiera, un uomo e una donna stavano discutendo animatamente sulle scelte di lavoro che avrebbero cambiato la loro vita e lei non era d’accordo con lui, bisognava stare… diceva. Altrove una ragazzina di tredici anni stava per scendere dal letto felice del suo compleanno. Un giovane ragazzo stava guarendo. Uno si chiamava Pal, uno Giuseppe, uno Shamir, una amava Alì ed ora si era appena decisa che glielo avrebbe detto. Il venditore di granaglie aveva appena scoperto che qualcuno gli fregava dalla contabilità… e ancora tanto, tanta vita, speranza, desiderio, attesa, lavoro, e animali e piante e strade e case e memoria e un po’ in ogni angolo un possibile domani… Tutto spezzato in pochi istanti e dopo la distruzione il veleno.
Per punire persone cattive e scovare il capo dei malvagi (storia a fumetti che manda in fumo la vita)… mentre io dal balcone della triennale gioco con un satellite… Che Dio abbia pietà di noi.
Ciò che sei sei
non un po' di quanto sei
né più né meno sei
il cane è cane
non è cane solo un po'
ma come cane è cane: tutto cane
Ma tu,
uomo donna maschera
del mio tempo corrotto,
che tutto questo sangue
vedi ogni giorno alla televisione
e ti dai anche delle spiegazioni
chi sei? Vergogna della natura!
Proprio qui e ora
in quest'essere che tutto sei:
Chi caspita sei tu?
Chi sono io?
A quest'ora del mattino
ancor stupito dal sogno
toccato però dalla luce
e subito catapultato
nell’incubo del progresso
come un ossesso!
Una nuova religione
si è formulata davanti ai nostri occhi
e non ce ne siamo accorti
Le sue apparecchiature
sono entrate nei nostri usi
comodamente
e i suoi sacerdoti
hanno celebrato i loro riti
noi abbiamo applaudito.
La tecnologia non è generosa
meglio non è riconoscente
il mondo della luce elettrica
non ne vuol sapere della notte
del giorno prima
ha in odio il c'era una volta
ha in odio le candele
l'olio, il moggio e lo stoppino
chi rotola urlando sulle ruote
neppure più sospetta quanto e come
il prima poté diversamente rotolare
fino al ruvido lì che ora sembra
-chissà come- liscio come l'olio
da e per l'eternità
la tecnologia ha paura della storia
del suo ruvido panno
disconosce la sua origine
ha vergogna e paura
di dover comprovare tecnologicamente
di provenire dal fango
come tensione al cielo
odia il c'era una volta
ma trama continue speranze
di vaghi "vissero felici e contenti":
neanche fosse una persona
quando poi capì (l'unico suo remoto)
che la via della trasmutazione
sarebbe rimasta segreta, lenta e iniziatica;
nonostante fuoco, ruota, scrittura,
cinema, televisione e le figurine dei calciatori…
Eccola inventarsi un cielo
di carta pesta
una finta realtà
un finto immaginario
un finto desiderio
finti bisogni
e finti clamori
finti entusiasmi
finte notizie
per giunta finte ballerine
finti nani
fino al colmo di
finti idoli
Finti cazzi e finti culi
Finte finzioni
Finti seni
Finti cibi
Finte labbra
Finte parole
Finte leggi
Finti malanni
Finte guarigioni
Finte elezioni
Finti attentati
Finte glorie
finti amici
e finti nemici
finte gioie
e, peggio, finti dolori
La tecnologia ha schiacciato
la ragione, perché non tollera
l'errore. Lo cancella col bianchetto
non lo ricorda, lo rimuove...
La tecnologia non ne vuol sapere di altro
La tecnologia non crede
non progetta
non vede
non sente
non respira
È anestetica
L'antidoto al suo cuore di ferro ossidato
è nella generazione e rigenerazione
di chi la cura, di chi la usa
L'antidoto, come sempre, è nell'acqua
e nei cloroplasti
In un modo o nell'altro
-Omero non avrebbe dovuto
insegnarlo solo a Odisseo-
l'acqua rimedia tutte le cose
In maniera molto empirica
potremmo dire che il potere dinamico
della tecnologia diventa pericoloso
quando separa ed esclude
il tempo e lo spazio
confondendo le cause e gli effetti...
Distruggendo la naturale vocazione
dell'intelletto
Per usare la tecnologia bisogna essere
pienamente umani
altrimenti ci si disumanizza
fino a diventare
integralmente finti
Per essere pienamente umani
bisogna uscire dal villaggio
vivere per tre notti nella nuda natura
Per essere pienamente umani
si deve essere scelto di servire la vita
Ma si può anche essere integralmente finti
per scelta
come i semi geneticamente modificati
che non sono semi
perché non hanno vita dentro
ma morte a orologeria
Pronti, affinché la cieca barbarie
nuovamente trionfi
al grido numerico
di nuove necessità
A un certo punto invece
arriverà un giorno in silenzio
con solenne indifferenza
ti sentirai allora mietuto in cuore
il tuo nome non promesso al futuro
della catena miope dei giorni
ma alla consumazione lucida
dell'altra mela
Avrai desiderio di far tutto e solo
col tuo corpo nudo nato
come gli uccelli nel cielo
Capirai allora che non bastano i brodini
o gli idiomi dei clan
che il sangue cola sangue urlando
e le alleanze neppure di orizzonti
quando il divenire collassa nella verità
si farà spazio di sua propria iniziativa
la luce nuova antichissima
della trasmutazione
Capirai con ovvietà di ciclamino
le cose più oscure e misteriose
improvvisamente illuminate
da una luce interiore
La luce del silenzio
non la imbrigli in nessuna parola
immagina, crea, sostanzia e scuote
È dove il cuore pulsa
grave e sereno
che
s'apre un nuovo orto
e il fiume della vita
come un amore nato
osa prendere un nuovo corso
È un paradosso:
prima la tecnologia nasceva per potere
oggi ti dice: non occorre che tu sappia far nulla
con le tue mani da australopiteco
non occorre che tu sappia pensare nulla
con la tua neocorteccia babilonese
io ti farò godere del tuo non potere
il tuo non potere è infinito
nasce all'estremità del tuo indice
dove finisce la vita
e inizia un ennesimo clic…
Dobbiamo invece ricordare
oggi più che mai
che il cuore un giorno
ci ha sorpresi ridere
nel calco della vita
senza voler sfuggire
neanche per un istante
ai prigioni madornali dei giorni
Eravamo noi
ed eravamo lieti
sull'orlo di quelle antiche fotografie
con tracce di zolfo e di argento
e nel cuore di quei versi
Attraversammo ancora
molte altre notti
dalla poesia sorretti
prima che da ogni altra cultura
Anche la luna conosce
I suoi entusiasmi
Nella terra un odore di mare
che non distingui
e i tuoi occhi
sono lo scalpo umido del mattino
©Gabriele Via