giovedì 19 novembre 2009

La vita (poema, monologo)

La vita

 

Rallegrarsi per la magia della sfera

 

rallegrarsi nel suono della voce

dell’acqua, del fuoco, dell’aria, della terra

 

rallegrarsi per la magia della sfera

 

per l’elettrica vicinanza delle cose

al loro invisibile corpo d’ombra

 

giungere a intendere la voce

degli elementi, dentro il cuore

e avvedersi che gli elementi

non sono veramente elementi,

ma altrettanti pianeti, sistemi, galassie

che noi intercettiamo col formidabile

decreto delle parole diverse

come diversa è l’esperienza comune

del calore, della luce, e del cibo buono

 

rallegrarsi quindi della vita per la vita

 

rallegrarsi per la magia della sfera

 

se da bambino mi avessero chiesto

Dio com’è, forse io non avrei guardato

l’Eden come Adamo dicendo è questo

avrei invece pensato e poi risposto

che Dio è una sfera avrei risposto

e poi pensato

 

e mi sarei così rallegrato,

cercando i sassi più tondi e lisci

per la formidabile magia ideale della sfera

che mi portava nell’armonia

così da sapere intendere finalmente

la voce nutriente del Dio vivente

 

Uno scontro di anime conflagranti

in un dove prima nullo

ed ora che come avvoltoi

volano in cerchio ripercuotendosi

sulla vita come calamità stagionali

in attesa di calare tra noi

e di noi nutrirsi fino far parte

di questa condizione naturale

miserabile e privilegiata

dove per la poco avvezza dimestichezza

nello scrutare il cielo per il cielo

si continua a profetare tra dispute

e controversie nella noiosa storia

delle continue fonti rinnovabili

dell’eterno verbo. Cosa ha

veramente voluto Dio?

Qual è il suo segno e quale non lo è,

pur sembrandolo…

D’altra parte l’esistenza implica

il concetto di creazione. Non si scappa.

Certo, ma il concetto di esistenza

da dove proviene? Dall’esperienza

sboccia come rosa per gemma.

E allora perché non riuscire

a considerare un dio dell’esperienza?

Perché no? Perché la gente

di questo buio tempo quando

dici dio ha la testa già piena

di tutto, tranne che di esperienza…

-E questo è il vero dolore del mondo

credimi-

Mentre quando parli di natura

ciascuno può rifarsi subito

alla propria sua esperienza.

-Senza che quel dolore tramuti in speranza-

Proprio così. E potremo mai colmare

Questo vuoto orrendo? E chi ha detto

che questo vuoto si deve colmare?

Non è mica detto che dio sia favorevole

al ponte sull’orribile stretto…

certo la storia, la tradizione,

forse anche già le fonti

indicano al lettore attento e capace

come il più alacre pontificatore

sia proprio il povero Lucifero, con

la sua ontologica ingenuità

nel voler peggiorar l’umana schiatta,

col suo teatrale armamentario

di pentolame rotto

e coperchi scompagnati…

Già… Forse come anche la notte

questa mancanza di luce

è necessaria.

Anche in Dio c’è un qualcosa

in cui e il silenzio di cui

non si può violare…

Così come per la questione inevasibile

dell’invisibile, irraggiungibile, indicibile...

 

Essere posti dalla vita in una data

situazione  fatta di relazioni, orizzonti,

limiti, condizioni, E in ciò, col trambusto

di una cucina in cui si stanno sbrigando

molti differenti piatti, vedere avvenire

tanti diversi dialoghi, da cui visioni,

desideri, progetti, speranze, intenzioni,

scoppiettano e zampillano come legna

di castagno in un falò. Per Bacco, dico io.

Permettere che ogni voce prenda la parola

potendo e volendo dire la sua.

Promuovere questa esperienza vergine

dell’esprimersi di giubilo. Fare spazio alla vita.

Anche se la vita sbatte, cade,

salta, sbava, urla, si agita e fracassa,

prima di scoprire la potenza della quiete

e la vastità del mare, da cui,

 -se lo è già dimenticata-

lei stessa è nata.

 

Rallegrarsi allora di questa sciarada

 

Fin da molto giovane mi accorsi

che uno scrittore, sia esso poeta,

romanziere o addirittura filosofo;

in ogni caso, laddove sia veramente

uno scrittore. Proprio nel momento in cui

meglio si esprime e più felicemente

riesce nel suo trattare con le parole

ecco che invece confida e si affida,

in un puro atto di fede, alla iniziativa,

capacità e buona volontà

di uno sconosciuto, che neanche

sa se c’è o meno, se è ubriaco, se dorme,

se può essere in grado, con le sue sole forze

di affrontare la cosa: il lettore.

A costui lo scrittore porge un’estremità

della cima di salvataggio della situazione.

Il lettore è colui che la deve afferrare.

In tal modo lo scrittore esaurisce, per così dire,

una data e limitata disponibilità

in cui si era trovato ad essere

(la chiamano ora ispirazione)

e per cui egli è uno che scrive,

e tu sei uno che legge. Tale condizione

di “disponibilità” di cui diciamo

è ontologica, è cioè dell’essere

e nell’essere scrittore,

e da quest’essere, anche se

non è d’accordo, ecco che

trascendentalmente lo scrittore

spera, auspica, supplica, pretende,

minaccia, chiede, prega, geme, lamenta,

ricatta, ordina, invoca, urla, canta…

Non guarda in faccia a niente e nessuno…

Affinché quella condizione

dell’essere in cui egli “versa”,

e per cui le sue parole

sono sembrate veramente

esaurirsi contro la vuota scodella

rovesciata del cielo, venga

con tutte le sue parole finite,

a incontrare, anche inciampando,

un buon samaritano,

uno straniero lettore

pronto a diventare subito complice

senza conoscere né il piano

né il mandante

né il prezzo di questo folle ingaggio:

 

tutto ciò per una storia di salvezza.

 

In realtà si potrebbe credere

che il lettore sia poi lo stesso scrittore

in incognito. Ma non è proprio così.

Infatti lo scrittore legge –è vero-

e prima di tutti e da solo

annusando con cura ogni centimetro

della sua lunga striscia di muco verbale

ancora calda e piena di umori interni…

Ma a differenza di un vero lettore,

che si incammina fiducioso

per cercare la luce di cui ha diritto

in quanto lettore, regolarmente iscritto,

agognando quel momento fatidico

che ogni poeta crea nel quale tu che leggi

ti accorgi di avere finalmente in mano

una torcia nella notte oscura,

lo scrittore in questione legge invece

ripercorrendo alla cieca

e contando i passi, tutto lo scritto:

allo scopo di uscirne, se possibile

ancora un volta, vivo e

liberato dalla sua stessa scrittura.

Ritrovare la luce, se non del sole

almeno delle stelle. Comunque

una luce vera; non un suo simulacro

non la parola luce.

Nessuno scrittore trova luce

in fondo alle parole che scrive.

Ma scrive per aiutare gli altri,

anche gli altri che sono in lui,

che furono e che saranno,

a fare un salto o un cammino

che porti verso questa luce.

 

La luce è sempre da un'altra parte

e la vita non sa dove abbiamo messo le cose

 

Siamo troppo stregati dalla magia della sfera

in viaggio come Colombo andando

si torna ed altro cercando

altro si trova viaggiando

riconoscere la voce dell’acqua,

camminando. Prendere così fiato,

e restituirlo quel fiato: animato

e con le mani rimescolato.

 

Decumani di amari fantasmi

popolati e viali che affliggono

le loro lunghe braccia

fino a noi dal cielo smisurato amati

desiderati… degli dei rincasati

 

E la voce dell’acqua

 

Col suo vento formidabile

in fondo, sulla coda

 

la voce dell’acqua

con una punta di sale

 

che sfugge dalle ali degli uccelli

per l’elettrica vicinanza delle cose

al loro invisibile corpo d’ombra

 

A questa maniera io ho visto la luna

quella che comunemente viene detta

luna piena… Dove piena indica

completa, totale, finita.

Siccome le altre fasi sono dette

frazioni: quarto, metà, tre quarti…

 

Ed ho capito, come un essere ragionevole,

che quando la luna è piena

è solo la sua metà. C’è l’altra

quella che non vedi. Quella che

da questa terra non potremo mai vedere:

quella realmente invisibile

per l’essere terrestre.

Quella, in superficie e sostanza

è veramente la sua metà…

Ma a noi basta vederne una metà nella luce

e diciamo di vederla tutta, piena.

In realtà, se non la tieni in mano

o non ti muovi come un pianeta,

una sfera la vedrai sempre, solo, per metà.

Il nostro sguardo vedente

sbatte sulla sua faccia

e poi cercando di abbracciarla scivola…

Disegnando un cerchio di lotta

con la luce per cadere infine nel buio

chiamando quel punto inesistente

orizzonte. La sfera, così,

che in quanto tale possiede

connotati di ombra

e di invisibilità

in egual misura di quanto possiede

di visibile, diventa simbolo

di verità.

La sfera di cristallo permette di vedere l’invisibile:

ciò che ancora non è

ciò che più, qui dove le cose sono,

adesso solo non è.

 

Siamo ancora come l’occhio del primo nato

per la magia della sfera tutto stregato

 

 

ora si vive

la luce è sempre da un'altra parte

e la vita non sa dove abbiamo messo le cose

ora scrivendo

ora leggendo

 

per tutto questo

elementare stupore

da cui possiamo sempre

ricominciare

 

 

 

 

 

 

 

©Gabriele Via

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