mercoledì 27 gennaio 2010

tempo è guardare il cielo

Tempo è guardare il cielo

 

quando l’acqua si rompe

e cade per terra

 

e questi fili di lana di neve

sui passi che vanno allo spazio

 

fin dove l’ascolto si fa buio

rimescolato di presagio

in un gomitolo di possibilità

 

la luce e la sua voce

infinita

 

“mi girai per guardare la voce”

 

ora mi basta un fiocco nella neve

e il tempo sono io, così breve

e tutto questo, qui attorno

che si muove e ricompone

al tocco lucente dello stupore

 

©Gabriele Via         Bologna 27 gennaio 2010

lunedì 18 gennaio 2010

Stasera io farei un appello

Stasera io farei un appello

per chiamare a raccolta

nel rumore delle voci

pochi cuori felici.

 

Per una volta non gli speranti esperti:

chi ha un sogno, un progetto;

né chi domani aspetti l'ora in agguato.

 

Ma solo chi guarda nel mondo

senza un palpito di paura

e senza il minimo desiderio

respira soltanto con molta cura.

 

(Esiste ancora chi non coglie

il ruolo retorico della farsa:

tu porgi un fiore finto, sì

e quello lo riceve in dono,

pensando che ora va così;

né pure avvedendosi,

che per man sua lacrima

una rugiada vera, prima non parsa.)

 

Sento però il gradevole vortice

che da loro trama un suono:

misteriosa presenza dei felici.

 

È l'architettura della nostalgia,

all'arrembaggio dei cuori:

guata, coglie, se ne vola via.

 

Stasera farei il suo numero davvero

perché in questa plaga agirei una danza

mi farei bastare l'atto di un movimento

apparendo senza una rotta

quello che sono, quello che sento.

 

Senza una destinazione

-pensiero, parola, operazione-

viviamo in scala uno a dieci,

fin dove capaci di voler credere

ad una miglior condizione

possiamo spingerci, solitari

per una tale spedizione.

 

Abbiamo abbandonato le parole

sul piano obliquo della vita

ora coltiviamo rivi, dossi e fossi…

 

…Prima o poi la pioggia arriva.


©Gabriele Via  

domenica 17 gennaio 2010

La casa dei gufi

Se volare ora non ti si addice

allora ascolta.

 

Puoi sempre spiccare un salto

o come un bimbetto

pernacchiare un motore di sputi

a braccia aperte correndo

per casa, in cortile o nei prati.

 

Puoi sognare, o aprire gli occhi.

 

Sui tetti e per le notti asciutte

vagabondo pensiero di latte

 

camminando più o meno felice

 

io senz'altro io o senza non io

ovunque cercando belando

il volto qualunque di Dio

 

o i volti felici consumata la sera

in indugi speranti

e le braccia rapite agli abbracci

di amori tanti

 

essere dunque in Cristo

come sciogliere un nodo bislacco

con tutto quel che comporta

ma anche senza

 

e alla mecelleria dei martiri

suggerire l'ascolto di Nicodemo

ché un bambino non ci mette di meno.

 

Nessun animale è cattivo in natura

si dice. Ma se ha fame, è ferito

o ha paura... Allora lo devi temere.

 

È l'uomo cos'è? E tu sei così cieco

da non vedere che l'uomo è

quell'unico animale che nella fame

nasce, con la paura convive

e la ferita, nascosta, la porta

chiusa dentro il cuore, per l'intera vita?

 

Perciò: prenditi cura dell'uomo

nutrilo, confortalo, medica le sue ferite

 

e se non lo fai col cotone o col pane

provaci almeno con ispirate parole

come anch’io provo di fare

 

E vedrai: nessun animale è cattivo

nemmeno l'uomo, né Socrate

o Aristotele, né Giuda o Maometto.

 

La cura è la lingua che si salva

da Babele. La cura non crolla

la cura non muore, perché

prima di parlare ama

 

Vagabondo pensiero di latte

sui tetti e per le notti asciutte

 

Restiamo insieme questi pochi minuti

capace ancora che amor ci sorprenda

 

Possiamo fermarci ovunque qui

montare in poco la nostra tenda

 

Ascolta

questo silenzio ci guida

fin dove hanno la casa i gufi

 

Oltre, subito al di là

soffia il vento della sola eternità

 


©Gabriele Via  

mercoledì 13 gennaio 2010

COME POTREMO NOI CANTARE?

La notizia

 

Noi missionari italiani vogliamo esprimere la nostra solidarietà alla sofferenza dei migranti africani, che da anni vengono impiegati nei campi della Piana di Gioia Taura, in stato di schiavitù , per la raccolta delle arance.

Il 7 gennaio, intorno alle 14,30, in Contrada Spartimento, un giovane africano è stato ferito da un fucile ad aria compressa. Intorno alle 17,30 ,altri due africani , nei pressi della Rognetta, sono stati raggiunti dai colpi di una arma simile.

A seguito di questa aggressione, sono iniziate le proteste degli immigrati. Dapprima con copertoni bruciati e piccole barricate fatte usando i cassonetti, fino alla vera e propria rivolta nella serata di giovedì, quando gli africani hanno bloccato la via nazionale e sfogato la loro rabbia, a lungo repressa, su automobili, vetrine di negozi e passanti. Una vera e propria guerriglia urbana.

Da qui la reazione dei cittadini di Rosario (su 15.000 abitanti, 4.000 sono migranti) che hanno reagito con altrettanta brutalità alla violenza degli immigrati. Ne sta seguendo una vera e propria caccia al nero!

Il ministro degli Interni Maroni,ha dichiarato che “i disordini di Rosarno sono il frutto di troppa tolleranza nei confronti dei clandestini”. (…) estratto da “NOI NON SIAMO ANIMALI”  

10 gennaio 2010

Commissione di GPIC della CIMI

Missionari Comboniani Castelvolturno (Caserta)

Missionari Comboniani Rione Sanità (NA)

http://www.giovaniemissione.it

 

 

Come potremo noi cantare?

 

Oggi non riesco a scrivere poesie.

 

Fermate i soccorsi! Bloccate la ambulanze!

 

In nome di chi, in nome di cosa

 

Si muovono i soccorsi

 

Si lanciano le notizie

 

Ci si mobilita si discute e si interviene?

 

In nome di chi? In nome di cosa?

 

Io vi dico che mentre giocavamo

 

ai sottintesi ideologici col diavolo

 

quello ci ha scippato il criterio dell’anima

 

Fermate i soccorsi! Bloccate la ambulanze!

 

Mi rivolgo principalmente a voi fratelli e sorelle

 

battezzati in Cristo

 

nel nome del padre del figlio

 

e dello spirito santo

 

che siate poi convinti di essere

 

ancor più giusti e giustificati

 

perché romani o di rito greco

 

riformati luterani o anglicani

 

avventisti mormoni o maroniti

 

che andiate a messa solo a Natale

 

o vi facciate un segno ogni quarto d’ora

 

bigotti o progressisti

 

non fa fatto alcuno

 

voi che siete in Cristo: tutti.

 

Ma non sarei dispiaciuto, veramente

 

di avere l’attenzione dei fratelli maggiori

 

devoti della legge di Mosè, assieme ai fratelli minori

 

che leggono il libro arabo del Dio

 

buono clemente e misericordioso…

 

E poi tutti gli uomini e donne di buona volontà

 

gli illuministi, i gnostici e gli agnostici

 

gli idealisti i marxisti i situazionisti

 

gli esistenzialisti gli atei

 

quelli di Grosseto e di Kansas City

 

chiedo la vostra attenzione perché devo tenere

 

un discorso ai cristiani italiani oggi.

 

Ascoltate la mia parola, se credete.

 

Una parola che si leva

 

dopo avere saputo dei fatti di Rosarno

 

dalla lettera dei fratelli Comboniani.

 

 

 

Io dico che Dio mi ha voluto poeta,

 

ed è vero, lo dico e di Dio adorno

 

le belle parole che lo spirito mi suggerisce

 

di cogliere nel giardino del creato.

 

Ed è un creato ancora,

 

nonostante ogni sforzo

 

dell’esercito delle paure, ancora

 

ricco di meraviglia, vita e orizzonti.

 

Ora però, come Arjuna prima della battaglia,

 

le mie ginocchia vacillano, la mia vista brucia.

 

E sebbene sia di temperamento gioviale

 

devo ora adoperare parole severe.

 

 

Dico solo questo: basta!

 

Una buona volta basta!

 

Altro che ancòra e ancòra.

 

ora che abbiamo recitato il mea culpa

 

collettivo con la bella poesiola di barabba

 

impostaci del calendario dai transistori

 

su giornali e social network

 

così da ritrovarci sotto l’ombrellino antiproiettile

 

in soggiorno in un borghese, caldo e rinfrancante senso di colpa

 

da dividere a merenda come un biscottino…

 

Eccoci qui nuovamente pronti, meschini, bugiardi,

 

schifosi, come lo sono i nostri sorrisi

 

sul mondo che brucia. Che centriamo noi?

 

 

Bisogna dire e fare solamente basta.

 

Non occorre un seminario, nessun dibattito.

 

Io ho sopportato, noi abbiamo sopportato

 

con pazienza di genitore

 

vedendo i nostri figli crescere

 

una strisciante progressiva malvagità

 

presa a prestito nei luoghi di fatica

 

distribuita nei centri commerciali

 

emulata dalle televisioni urlate

 

insuflata nei giocattoli

 

giustificata dalle istituzioni…

 

mentre giocavamo

 

ai sottintesi ideologici col diavolo

 

quello ci ha scippato il criterio dell’anima

 

Fermate i soccorsi! Bloccate la ambulanze!

 

basta con tutta questa ipocrisia!

 

Non se ne può più

 

venite uno ad uno

 

cronisti

 

testimonial

 

marescialli eroi di guerra

 

parlamentari e consiglieri

 

insegnanti

 

impiegati

 

studenti

 

operai

 

artigiani

 

uomini di fatica

 

caporali

 

autisti di linea

 

questurini e vigili urbani

 

giornalai baristi barbieri

 

osti e fruttivendoli

 

quelli che so io come si fa

 

quelli che la buttano in politica

 

e quelli che la buttano nell’indifferenza

 

giovanotti rozzi e ignoranti

 

che non avete mai ricevuto

 

il brivido di una severa sculacciata

 

o una verità profonda di vita mai condivisa

 

come invece la complicità in meschinità comuni coi gradi

 

che vi hanno battezzato alla corruzione

 

o le lacrime di un genitore

 

che torna a casa senza il lavoro

 

venite, lasciate le vostre impronte

 

fatevi riprendere dalla telecamera

 

del vostro stolto entusiasmo

 

mentre sputate sul crocifisso

 

firmando contro una moschea

 

pronunciate veramente pubblica abiura del Cristo

 

abbiate il coraggio di crocifiggerlo ancora

 

piantate e ficcate con le vostre mani analfabete e bestiali

 

le ferle tra i polsi e i piedi

 

e per una volta se suonasse il cellulare

 

di qualche altro deficiente come voi

 

non rispondete: avrete finalmente qualcosa da fare

 

rinnegate la vostra professione di fede

 

la vostra vera fede è un telecomando

 

una schedina, i risultati delle partite

 

e un quarto d’ora di sesso sudato

 

in una sudicia stanza. E via!

 

Di nuovo pronti a scannarvi

 

Per un parcheggio o un rigore

 

Fate veramente schifo. Ed ora

 

avete estromesso anche la pietà

 

cristiana, siccome a quella umana

 

non nasceste pronti, né mai usi.

 

Dio abbia pietà di voi miserabili servi,

 

siete voi il pericolo denso, grave e cieco del mondo

 

convinti di essere piccoli padroni

 

per un battesimo espunto a pochi mesi sul ciuffo di latte

 

una comunione in fila come pecorelle

 

un’acidula cresima con schiaffetto del vescovo.

 

E per cosa? Tutti questi sacri segni

 

non sono forse la stessa abominevole idolatria

 

esecrata da Isaia? Non è questa la desolata

 

terra in cui proliferano delitto e solennità?

 

Come devo leggere il sangue che scorre sulle mie strade

 

alla luce delle scritture? Insegnatemelo voi

 

sempre così pronti a voltar pagina a comando!

 

Prima di prodigarvi verso qualsiasi missione

 

agite per ciò che siete veramente

 

chi popola le chiese sia chiesa

 

ma chi arma il pugno

 

pensando di essere nel giusto e con Dio

 

preghi che Dio sia distratto

 

perché l’appello è suonato da un pezzo.

 

Nel nome di Dio Padre e di Gesù Cristo

 

Nel nome di Francesco di Paola

 

Quanti battezzati ci sono a Rosarno?

 

Quanti in Calabria?

 

Quanti battezzati ci sono in Italia?

 

In nome di Dio rispondete!

 

Venite fuori, testimoniate!

 

Cosa siete nati a fare?!

 

Che ridicola tragedia…

 

Dov’è ora la telecamera del sabato sera

 

pronta a fare la pace per le strade

 

cantando canzonette di giustizia nel Vietnam!

 

La voglio vedere!

 

e il Dio dei Tarallucci & Vino

 

e le Vallette di Stato dov’è finito il mondo

 

davanti a quest’altro mondo!?

 

Qui vengono allontanati dalla chiesa teologi pericolosi

 

ma non si scomunica un solo mafioso!

 

Che Dio vi perdoni tutti!

 

arrivano giorni terribili fabbricando queste nubi

 

e oggi anche io mi ritrovo in questo male

 

E come potremo noi cantare?

 

 

 

 

 

©Gabriele Via             Bologna, mercoledì 13 gennaio 2010

 

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Luce del Fado

Lisboa

 

Davanti alle ultime briciole del Tago

ridotte a silenzio dal sale di oceano

come davanti alle parole di qui

che vergogna non essere poeti

 

Prima che il sole figuri

sul pelo dell'orizzonte

ecco vestirsi di colori pallidi

l'intera città e il suo petto

 

Lo fa in silenzio

col fruscio lento di un amante

che si ritiri per tempo;

o che non voglia

far parte dei discorsi di domani,

 

ma che compia ancora

il suo lavoro plastico

e quei minuti di sorriso cieco

sullo stampo di argilla

d'Adamo ed Eva, ancora uguali

 

in quel sonno amato di membra,

ma già due, nei destini

del sogno, dato.

 

Arriva così da ultimo e distante,

distante al punto di essere

ugualmente vicino a ciascuno,

il sole.

 

E senza sapere pressoché nulla

dei sogni,

credendoli solo un cuor di rugiada,

più attento alle tempeste

nel sopraggiungere

chiede sempre le stesse cose.

 

Ha mandato avanti, lo precede di otto minuti,

la luce: la sua luce

cieca e accecante.

 

Ma noi siamo qui

per una repubblica di colori

 

Da un po' di tempo

abbiamo scoperto che è malato,

e non solo in viso, ma dentro,

nei nervi, dove la luce si fabbrica

con elementi fuocanti.

 

E lì, ché lui sa che la vita

è condizione di tutto,

lo consuma il timore

di spegnersi:

è una questione dura

bambina

anche solo da porsi...

e nessuno,

veramente nessuno, in questo

lo può aiutare.

 

Lisboa

davanti alle ultime briciole del sole

che vergogna non essere poeti

 

La prima cosa che fa, quando appare

sul mondo con l'autonomia di una forma,

è quella di mettersi per strada e prostituirsi

come una metafora.

È così irrequieto che è ovunque…

 

Ma questo ingenera dubbio, follia, esaltazione...

e produce, nei suoi più elementari sviluppi,

particolari dubbi di ambiguità.

 

Nessuno credeva che la sola idea

di mandare davanti a sé

otto minuti di luce, avrebbe

creato la conseguenza dell'ombra.

E con l'ombra, lui,

ancora non sa proprio come fare...

 

Non è per il mare che succede

quel che succede sul panorama del mare

e non parlo di me solo

né solo di me quando dentro il cuore

del più intimo segreto trovo

il respiro vergine di Adamo.

 

Prima che l'umanità diventasse un ideale,

io l'ho sentita riunirsi,

conoscersi…            sognare

e camminare.

 

Davvero non è del sole,

delle vette o del vento di oceano...

il primo motore dello stupore...

 

Ma il funzionamento,

che in sostanza genera

e crea tutte le cose,

 

il funzionamento

di questa misteriosa

cartina di tornasole.

 

 

Non è mai nelle cose

o nel crederle così perché così

o cosà perché cosà

ma piuttosto nella sorpresa

 

la sorpresa vitale

per cui ai tuoi stessi occhi

avviene di accorgerti

di iniziare, con piccole scintille, a credere

da un prima in cui non ci

credevi. Ecco.

Questo è sommamente poetico,

non i tramonti, né le tramontane,

ma questa coscienza,

le sue luminose eclissi

che amiamo raccontare

 

 

Dove si apre finalmente una luce

sulle teste come piante orientate

una luce buona di presagio

che si adoperi negli sviluppi

 

Non fu detto però di Dio il sorriso

la chitarra sa che la sinfonia

come un manto di neve suona

negli spazi curvanti del cuore

 

E ti metti a raccontare di un fatto

con misura domestica e consumata

di chi ha consuetudine con la meraviglia

ma non l'adopera per dimenticare

 

Stai per nascere ancora tra poco

avrà un nome questo movimento

che si porta il cuore colmo di rugiada

e non sai dire altrimenti. Ma: tra poco

 

Tra poco il fiore dischiude il suo segreto

sempre e per sempre sta per essere

il punto eterno del momento che pulsa

 

La speranza è che tutto ciò

solamente anche altrove

risulti

 

Fino a quando l'orizzonte

si misura dove spegne

il pianto l'urlo del bambino

 

che vergogna non essere poeti

 

Diménticati quindi anche di Lisboa

abbi cura del giardino del tuo cuore...

resta in ascolto del coro di grano

quel che può fare il mare

errabondo costante

semplicemente

unico e uguale

 

Qualcosa di adesso, un sasso,

un lampo o un sapore,

è quanto occorreva

a dischiudere una luce più antica

 

trovare prima e dentro

quel mondo sognato

e creduto lontano

 

Strana la vita. Un giorno

basta aprire la finestra, l'altro bisogna

che Dio te lo porti da casa...

 

Vengono tempi dove i colori

hanno altri nomi. La verità

rimane verde: più di ogni altro

verde è il colore da ascoltare.

 

 

Vieni a Lisboa

il tempo delle unghie

pizzica piano

 

Ho dimenticato le mie mani

applaudire

e intanto mi sono messo a scrivere

queste miserabili parole

dì piccola farsa di gola

davanti al ventre di atlante

 

Ma loro, propaggini estreme del cuore,

le mie mani hanno proseguito a scrivere

meravigliando e più e più

in quell'ancòra di ogni costruzione

dov'è finalmente possibile

coesistere la voce e il suo racconto

c’erano anche delle parole

non ancora scritte

già presenti come api

ai segnali di primavera intorno

c’erano parole

brevemente chiuse e liberate

nei versi volanti del fado

 

Lascia Lisboa

aspetta la mia voce

 

 

Come un'acqua da una roccia antica

sparisce nella nostra pancia la voce

che vola come una mosca farfalla

attorno al nostro trepidante silenzio

 

Siamo costretti ad ascoltare

il suo canto... Prima di morire

 

Una malinconia d'uomini e donne

negli occhi di un mediterraneo

affiorato da dentro il cuore minerale

della terra

Mirasole di stelle lontane

in un planetario d'oceano

che ascolta e non risponde

 

La mia ombra dipinta dai viaggi

sui muri liquidi a praca do comiercio

in un odore di ferro, di nafta

e sapone d'Olanda e coriandolo

agli e patate nude in terra

e risme di piccole note a matita

 

prima di Pessoa, molti figli di Giona

sul trampolino di atlante

hanno cambiato nome

per non morire

salpare: salvare la vita

 

tu no, non sapevi, non potevi

turchina dimenticanza

nell'allentare un comune destino

all’assedio circolare del cuore

 

ti tenevi alla boa di Lisboa

volevi vivere, volare

 

diventare qualcosa

qualsiasi cosa

 

che vergogna non essere poeti

aver sempre qualcosa

da rimediare

 

poi ti sorprende il fado

il suo verso lungo

nel tuo corpo cavo

ricordarsi di dimenticare

dolcemente

come il sole si lascia

inghiottire dal ventre del Tago

 

 

©Gabriele Via